Bambini e televisione


PUNTI CHIAVE:
1) Gli schemi di presentazione dei fatti, in TV, sono superficiali e generici.
2) Il bambino fa confusione tra immagine e realtà quindi, col tempo, è portato a credere che persone e fatti siano come li osserva in TV
3) Il bambino assiste a tante e diverse rappresentazioni di realtà che poi non vive direttamente, per esperienza. In questo modo gli è impedito di farsi opinioni personali.
4) Un eccesso di TV abitua all’approssimazione, al semplicismo, all’alterazione della percezione spazio temporale, rende difficili le relazioni familiari.
5) La proiezione di se stessi nelle immagini viste fa assumere ai bambini atteggiamenti emulativi. Spesso i modi di dire e le pose, sono quelle, stereotipe, degli eroi televisivi.


TENER PRESENTE CHE  (statistica Americana del 1997):
a) I flashback, le dissolvenze, i campi e controcampi, la distinzione fra scene principali e secondarie, non sono comprese prima degli undici anni.
b) Prima dei sei anni il bambino è incapace di cogliere un’azione nel suo insieme e non ricorda lo stesso personaggio in scene diverse dello stesso film.
c) Fino ai sette/otto anni il bambino è incapace di seguire correttamente un film per più di trenta minuti.

INOLTRE:
Un’eccessiva fruizione della TV provoca, nei bambini, problemi fisici:
1) Disturbi della vista
2) Obesità da scarso movimento
3) Disturbi del ritmo sonno/veglia
4) Aumento nel consumo di cibi (pubblicità d’alimenti dolci che agisce mediante persuasione occulta).
5) Attivazione di meccanismi ormonali surrenalici (reazione d’attacco/fuga) in caso di scene particolarmente forti.


DISCUSSIONE

La TV, in se, è sia un bene sia un male: dipende da chi la usa e da come la usa. Il compito dei genitori è di informarsi sui contenuti dei programmi, prima che questi siano fruiti dal bambino. Films, dibattiti, cartoni, dovrebbero essere conosciuti dai genitori che solo in questo modo possono mediare l’informazione che passa in TV ed arriva al bambino. Per i films, ad esempio, tale scopo può essere raggiunto con una strategia simile a quella del cineforum: invece di seguire quello che capita (essendo impreparati), si mostra un film in cassetta che si conosce, si vede insieme e, alla fine, si commenta.
Quest’azione propedeutica, fatta sotto forma di gioco (ma è in realtà una sorta di “lezione”), abitua il bambino a ragionare sul film, a cercarne e seguirne la trama. Un insegnamento di tal genere porta allo sviluppo del senso critico che, poi, funzionerà automaticamente quando il giovane spettatore sarà solo davanti al video a seguire un film nuovo (oppure a cinema). Le stesse considerazioni valgono per i cartoni, per i dibattiti, per i telegiornali, ecc.: il “filtro” è rappresentato dai genitori (prima) e dall’abitudine a ragionare su ciò che si vede (poi). Un buon sistema potrebbe essere quello di abituare il bambino a capire ciò che esiste “nel retroscena”, rendendolo attore e creatore (per gioco) di servizi giornalistici, sportivi, pubblicitari. La famiglia, partecipando al gioco, mostrerà i meccanismi della redazione, del marketing, della formazione delle “opinioni”.
Molto importante è che non siano perdute le radici culturali del Paese d’appartenenza. L’abbattimento delle frontiere rischia di portare alla perdita delle peculiarità delle varie culture. L’inizio dell’omogenizzazione è avvenuta proprio tramite la TV che porta in casa serials, films, cartoni di produzione straniera, pensati e realizzati secondo canoni e filosofie di vita che ci sono lontane.
Conservare le proprie radici significa sapere chi si è e perché si è arrivati ad un certo sviluppo: dà sicurezza ed abbatte il disorientamento favorendo la formazione d’ideali.
Ciò che proviene da altri Paesi può, per imitazione, portare all’accantonamento dei modi di vivere propri della Cultura in cui si vive e che non trovano riscontro nella propria realtà.
Un esempio illuminante sono i cartoni animati di produzione giapponese. La cultura di quel popolo è permeata in ogni suo aspetto, da princìpi religiosi di marca SHINTOISTA. Lo scintoismo è quanto di più lontano dalla nostra cultura. Proverò a riassumerne i cardini:

1) La cosa peggiore che possa capitare è “perdere la faccia” davanti agli altri (in realtà non importa se le persone al cui giudizio si è sottoposti sono animate da buone intenzioni)
2) La “vergogna” è uno stato da evitare
3) Il bene principale è l’identità nazionale; etica e famiglia vengono dopo. Per il bene della nazione è lecita qualsiasi azione.
4) La competitività è finalizzata SOLTANTO alla vittoria (l’esatto contrario del motto di Le Coubertin!)
5) Gli antenati e la natura sono oggetti di culto religioso (ricordiamoci d’essere cattolici e cristiani)
6) Ogni azione deve essere finalizzata alla definizione della propria identità personale, a costo della vita (vedi anche ai punti 1 e 2)
7) Pur di ottenere la vittoria od il primato, non esiste sacrificio o sofferenza che si opponga
8) Le vessazioni e le sofferenze sono imprescindibili doveri

(Tacchi - Venturi: “Storia delle Religioni” – U.T.E.T. vol. III)

Com’è semplice notare, è utile mantenere un “distacco” culturale fra queste estraneità e la realtà: soltanto così si può osservare con occhio disincantato ciò che avviene fuori dei nostri confini senza esserne condizionati, ma al solo scopo di fare confronti ed esperienza. Questo discorso vale sia per argomenti politici sia etici. Ciò che ci rende diversi ed unici va rilevato e conservato, pur mantenendo i vantaggi indotti dall’allargamento della propria area mentale e dello spazio di critica generati da ciò che è estraneo: non è chiusura ma soltanto un modo per evitare di appiattirsi ed omologarsi.

All’inizio delle trasmissioni televisive (1952), oltre ad una maggiore attenzione alla cultura da parte di chi ideava i programmi TV, esisteva una “ignoranza” di base della popolazione. La televisione prese in mano il compito di “educare”: la diffusione della lingua Italiana e la propagazione capillare delle informazioni sul territorio nazionale si devono ai programmi televisivi dell’epoca.
Oggi è cambiata la composizione sociale del nostro popolo; è cresciuto il livello medio culturale perciò le informazioni trasmesse via etere non debbono più essere un CARDINE ma solo un COMPLEMENTO di una cultura che si forma in altro modo (lettura, studio, ecc.). Da questa premessa discende che il dovere non è quello di evitare la televisione ma di formare un terreno culturale sul quale la televisione non possa radicarsi come elemento principale. La cultura di base relega automaticamente la televisione nell’ambito degli elementi marginali; solo se non c’è cultura la televisione prende il sopravvento. In definitiva l’uso del mezzo televisivo deve essere limitato a quello di uno strumento di stimolo per la riflessione, la critica e la ricerca.
 

E’ buona norma abituare il bambino a “spegnere” la televisione nel momento in cui c’è qualcosa che non lo riguardi o che possa essere di difficile comprensione. Spesso si assiste alla fruizione passiva ed “imbambolata” di programmi non dedicati od inutili. I bambini sono catturati dalle immagini quindi si rischia di osservarli mentre, davanti al video, sono involontariamente fatti bersaglio a messaggi subliminali pericolosi. L’abitudine a spegnere genera capacità di scelta ed impedisce l’assuefazione”. Il meccanismo che potrebbe avere origine in caso contrario è simile a quello che s’innesca nell’ipnosi: fa allontanare il b. dalla realtà e si sostituisce alla sua capacità di pensare e di decidere.

La televisione, come se non bastasse, crea falsi modelli, dettati dalle mode o da esigenze di Marketing o, peggio, da strategie politiche di persuasione. Il bambino è molto vulnerabile di fronte a questo insieme di informazioni poiché non distingue bene la realtà dalla finzione e non è capace, per mancanza di esperienza, di controbattere o confutare.
Inoltre la televisione NON COMUNICA in senso stretto poiché non garantisce diritto di replica nè fornisce spiegazioni di quanto si ascolta quando non perfettamente compreso. La comunicazione, per definizione, si basa sullo “scambio” di opinioni: un mezzo che fornisce informazioni senza poter essere controbattuto non comunica (non consente l’alternanza di simmetria e complementarietà che sono alla base dello scambio di informazioni). Chi dovrebbe essere sempre presente a mediare tra bambino e televisione è un adulto dotato di capacità critiche.

Che dire, infine, della nascita di “esperti”, ad esempio in campo sportivo, politico, di spettacolo. Soprattutto per ciò che attiene allo sport, si sta creando una visione non partecipativa delle attività fisiche, in cui tutti, pur non praticando attivamente alcuno sport, ne divengono competenti. Ne esce un modello esecrabile: non importa praticare uno sport ma è sufficiente osservarlo per divenire competenti. Se da un lato è bene formarsi delle opinioni su qualsiasi argomento, bisogna ricordare che questo atteggiamento genera inerzia fisica (che importa saper giocare, basta saper commentare) e mentale (talvolta i giudizi sono passivamente “assorbiti” dalla bocca degli “esperti”, “Se lo dicono loro, sarà così”): non sempre sono i migliori coloro che vengono invitati a parlare in televisione. Se questo concetto si trasporta su altri piani, si osserverà la scarsa partecipazione alla vita reale di chi è assuefatto alla TV. Le idee possono essere passivamente assorbite dalla TV senza muoversi per farsene di proprie conoscendo la vita. Si consente a chi parla dalla televisione di raccontarci il reale impedendoci di farcene un’idea personale.
La TV dovrebbe, al contrario, essere solo una FONTE DI STIMOLI da approfondire con la lettura, la vita pratica, la ricerca ed i rapporti sociali.

Per ciò che riguarda la violenza che caratterizza alcune (ormai quasi tutte) trasmissioni televisive, c’è da ricordare che il “piacere” con cui i bambini vi assistono si può attribuire soltanto ad un aspetto connaturato all’essere umano: il fascino dell’orrido. Hanno paura ma rimangono attratti dalle scene più forti perché vogliono assistere alla risoluzione di queste scene (come andrà a finire?). Con ogni probabilità l’osservazione di scene violente è una sorta d’esorcismo nei confronti delle proprie potenzialità aggressive tenute sotto controllo dalla morale e dalle convenzioni ma, come già osservato, morale e convenzioni sono concetti vaghi in un bambino: se a seguito della visione di tali sequenze non esiste stigmatizzazione delle stesse, la ripetuta somministrazione attenua i freni morali poiché si genera un’abitudine. Inoltre il bambino, che riesce con difficoltà a distinguere tra realtà e finzione, è portato a credere che l’attuazione della violenza non sia seguita (come accade nella vita) da eventi tragici. Se a questo si aggiunge la scarso controllo emotivo che è tipico dell’età infantile (ed adolescenziale), ne risulta la forte tentazione di provare le azioni osservate per ottenere le forti sensazioni ricavate dalla semplice visione. In questo senso l’aggressività del bambino diviene parte da un gioco e non è, come molti pensano, una disposizione connaturata dell’animo. Le conseguenze, al contrario, saranno ben reali.


L’opinione di C. Sorgi (sunto)

Rinunciare completamente alla TV è, oltre che utopistico, anche inutile: è come voler tornare al carretto perché i motori inquinano. In realtà basterebbe inventare motori che inquinano meno. E’ quindi necessario, al di la dei contenuti trasmessi dal mezzo, imparare ad usare con oculatezza il mezzo stesso, tanto più ora che, con l’avvento della multimedialità, l’accesso diviene universale e quindi la qualità è sempre meno controllabile (pensiamo ad Internet e simili). Se uno strumento non lascia libertà di scelta e di critica diviene uno strumento di morte. Laddove la televisione non è più strumento nelle mani di un essere pensante, essa stessa diviene agente di un potere che asserve lo spettatore ai propri scopi. La diffusione subliminale dei modelli porta, nel tempo, a giustificare atti o comportamenti assolutamente aberranti: giacché la scrematura non viene compiuta da chi programma, diviene necessario che, a farla, sia l’utente attraverso una netta scissione tra la realtà e la falsa rappresentazione di essa. In questo senso è di capitale importanza “smontare il giocattolo”, sapere chi paga e perché, chi commissiona, chi dirige.
Il genitore deve aiutare il bambino a smitizzare ciò che vede: i figli non cercano maestri ma testimoni. La testimonianza invita alla discussione, alla consultazione, mentre il ruolo di maestro condiziona maggiormente la trasmissione di dogmi. Educare all’uso della televisione significa “liberare” la persona, recuperandola ad attività quali il divertimento, la lettura, il gioco creativo, il dialogo.

CONCLUSIONI


POSSIBILI STRATEGIE

- Spiegare ciò che succede
- Discutere quanto si osserva, chiedendo giudizi su ciò che il bambino ha visto, come lo ha capito, che impressioni ne ha ricavato
- Scegliere ciò che si vuol vedere (e non vedere senza discriminazione tutto ciò che è trasmesso)
- Stabilire una scala di valori secondo la quale, al primo posto, ci sia l’ESSERE e non il SEMBRARE.
- La violenza, specie nei cartoni, deve essere spiegata in modo da eliminare, nel bambino, la sensazione che essa sia l’unico mezzo (insieme alla aggressione ed alla sopraffazione che si notano nei talk show e nelle trasmissioni di “opinione”) per risolvere problemi.

 

QUALCHE REGOLA

1) Sorveglianza sul meccanismo di trasmissione delle informazioni
2) La famiglia deve assumersi le proprie responsabilità educative e non delegarle alla TV.
3) Fare perno sull’esempio: i figli di genitori che passano molto tempo davanti alla TV non possono che fare altrettanto
4) Limitare il tempo della TV a spazi precisi privilegiando lo sport, il gioco, la lettura
5) Pretendere, attraverso proteste attive o passive, che la programmazione sia la migliore possibile.
6) Attuare una fruizione attiva e critica per evitare l’omologazione.